Il villaggio dell’odio

Gli haters (o odiatori seriali), i leoni da tastiera, i nuovi mostri.

Sono i simboli e le conseguenze, a detta di molti e mi pare nel sentire comune, della pessima influenza dei social che hanno “sdoganato” l’odio. Un fenomeno moderno insomma.

Rancori vomitati addosso ad altri, ritenuti più deboli, e pubblicamente. Cattiverie, aggressività discriminazione e bullismo che una cosa del genere non s’era mai vista. Questo mi sembra il pensiero dominante.

A mio avviso invece non c’è nulla di particolarmente nuovo in tutto questo. Parafrasando Baricco, è forse una rivoluzione della tecnologia ma non della mente. I social in tutto questo sono solo un nuovo mezzo per qualcosa che non è nulla di realmente nuovo.

Facebook, Twitter, Instagram e tutto il resto sono in realtà la versione digitale del tuo piccolo paesello di provincia. Quel luogo di cui la cronaca nera di qualunque nazione, spesso racconta gli eventi allucinanti, la bruttezza di alcuni esseri umani e la solitudine mortale di altri.

Quanti followers/amici (Twitter, Instagram, Facebook ecc) hai? Cento? Mille? I più famosi  ne hanno milioni ma in media fra gli esseri umani non influencers qualche migliaio è proprio il massimo. Insomma, al più, un paesello.

Il paesello certo non è un luogo preciso, è un luogo della rete e quindi chi vi abita, i tuoi compaesani, possono essere e sono di solito geo-delocalizzati. Ma tutto qui. Puoi nascondere a tutti o a specifici amici certe informazioni (e alcuni lo fanno) ed è equivalente a non uscire di casa nel tuo paesello o evitare alcune persone che comunque possono parlare/leggere di te altrove nello stesso social tramite le relazioni intermedie.

Se posti qualcosa su FaceBook quindi è più o meno come scendere nella piazza del paese e dire una cosa ad alta voce o fare chiacchiere di Paese, da Bar, appunto un po’ con tutti. C’è chi ti ascolta e chi no ma, se interessa, la voce gira fra i tuoi compaesani e anche fuori dal tuo paese.

Quando fai un post su Facebook o un tweet su Twitter stai di fatto parlando dei tuoi pensieri con un megafono al bar o in piazza e non all’orecchio di qualcuno (anche perché col megafono sai che male?).

Ora gli haters, i leoni da tastiera.

Se vivi in un piccolo paese di provincia (o se lo frequenti e tieni le orecchie aperte) dopo un po’ senti racconti di ogni genere. Non parlo di roba che sia andata in cronaca.

Racconti e pettegolezzi, voci di paese storie su questa o quella persona, a volte aneddoti divertenti a volte storie molto brutte e vicende agghiaccianti di nonnismo, sopraffazione, arretratezza, bullismo. Chiacchiere infamanti su altri. Escono, a volte alla chetichella, la cattiveria e le pesanti conseguenze che questa ha avuto sulle persone. Voci vere o, più spesso, false e ai più non importa.

Voci false che frequentemente diventano vere per forza di paese, o cose vere e personali che diventano dominio pubblico e a volte il marchio su persone innocenti. Storture che altro non sono che l’attività di haters di un piccolo paese.

Che ci sono sempre stati. E se la voce la mette in giro il “grosso”, il coatto boss, pesa anche di più.

I bulli, i piccoli potenti e prepotenti, i repressi o gli stronzi di un luogo fisico, in questo caso, che se la prendono con i deboli, quelli visti come diversi per esempio. E poi le leggende urbane: i tuttologi che sanno pure la “geologia” orale di un luogo (in pieno contrasto con quella reale). Terrapiattisti che pure se glie la spieghi coi dati non si convincono.

Quando l’odio, il bullismo la cattiveria si scatenano su una persona in un paesello l’effetto è deleterio, duraturo (soprattutto se dal paesello non te ne vai mai) e all’apice può portare al suicidio, all’abuso permanente e molto altro che non voglio manco sapere. Vogliamo parlare degli stalkers? Piccoli mediocri complessati e incasinati che tante volte in passato hanno reso la vita impossibile alle vittime che poi sono in alcuni casi finite male. E i ricatti lunghi anni, spesso legati a sfruttamento e sevizie sessuali, che restano li magari noti a tanti nel paese che sanno, sospettano ma … . Storie di sopraffazione e odio.

Questo genere di realtà, meschina, gretta, triste e pesante, in cui i più deboli da sempre restano invischiati, oggi, nel mondo dei social, non è diversa solo che, per fortuna, si sa. E questo fornisce strumenti prima inesistenti, di indagine, di prova e anche macchine di solidarietà prima durissime da attivare.

Oggi nel mondo globale, a differenza di ciò che avveniva ieri in realtà isolate e piccole, tutto questo grazie ai social rompe i confini e un atto di pesante bullismo non avviene più necessariamente nel tuo mondo isolato ma ne può rompere gli argini e venire a conoscenza di una cerchia più ampia. I bullizzati rischiano di vedere la loro storia ancora più diffusa anche in dettagli davvero pesanti e umilianti, certo, ma è anche vero che non sono più del tutto soli. Nei paeselli fisici la solitudine è totale solo che non si sa e a volte è proprio questo a essere mortale.

Oggi i chiacchiericcio da bar, le cattiverie, il bullismo escono dal cerchio magico (anche se i bulli se ne rendono conto troppo tardi arretrati come sono) e la probabilità che una vicenda triste serva a evitarne altre più tristi, a rompere l’isolamento è più alta.

Lo dimostrano le conseguenze che iniziano a fioccare per gli haters quando attaccano personaggi pubblici o quando qualcuno denuncia. Il loro odio è altrettanto pubblico e l’arma diventa a doppio taglio. Prima potevi diffondere fango su una persona anche famosa e non farti manco vedere, oggi in qualche modo ci metti comunque la firma digitale e questa è una gran cosa.

A parte questo:

  • il villaggio dell’odio è un elemento atavico
  • anche se li chiamiamo social, sono un paesiello

Il dito e la Luna: 6 Aprile 2009

Sono passati 2 anni, 10 mesi e una manciata di giorni dalle 3:32 ora locale del 6 Aprile 2009.

Ho scritto alcune cose nei mesi successivi agli eventi scatenati dal terremoto. Le conseguenze di quell’evento sono state molte. Sono morte 308 persone. Una città splendida è diventata più o meno un’ombra di se stessa. Il tessuto socio-economico è stato ed è rimasto stravolto. I componenti della Commissione Grandi Rischi di allora sono stati inquisiti in un processo e insieme a loro anche un ricercatore, un geofisico dell’INGV, che della commissione non faceva e non fa parte. Infine sono uscite alcune delle migliaia di intercettazioni delle telefonate di Guido Bertolaso, ex direttore del Dipartimento di Protezione Civile, da cui per il momento si evince che era talmente occupato a organizzare il G8 alla Maddalena per far fare bella figura all’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, da ritenere la questione “sequenza sismica” poco più che un fastidio (mia opinione personale fin da subito dopo il terremoto, seppure non supportata da prove).

Quello che mi interessa fare oggi è riportare un ragionamento logico che mi è venuto in mente pochi giorni fa mentre aspettavo un treno che non arrivava mai, diretto al mio luogo di lavoro precario.

Se qualcuno vi domandasse quale, del terremoto dell’Aquila, sia la cosa più rilevante, probabilmente tutti rispondereste: le 308 persone che vi hanno perso la vita. Questo è umanamente vero e lo condivido. Ma voglio essere qui freddo e calcolatore.

Io credo che la cosa più eclatante sia il numero di persone che NON vi hanno perso la vita.

Primo elemento: i dati Istat provvisori del 2011 danno oltre 70.000 residenti nel comune di L’Aquila. Se ricordiamo i 65.000 sfollati del dopo terremoto, si può tranquillamente dire che “circa 70.000” residenti sia un numero corretto.

Circa 70.000 persone NON sono morte a causa della scossa principale e più dannosa dell’intera sequenza, che ha colpito il capoluogo Abruzzese.

Questo non è un dato positivo in se: una città di un Paese altamente sismico e 7ma potenza industriale al mondo (lo era … un po’ di tempo fa, ora chissà) non dovrebbe avere ALCUNA vittima diretta di nessun terremoto di qualunque magnitudo aspettata per quel luogo in base alle esistenti e ben documentate Mappe di Pericolosità Sismica. L’Italia continua a fare eccezione.

Però è un rapporto, quello fra il numero di vittime (308) e il numero di sopravvissuti (oltre 70.000) che deve portare a una riflessione. Riflessione che lascio per la fine dell’articolo.

Secondo elemento: dopo la scossa di magnitudo locale 4 del 30 marzo 2009, le voci di un forte terremoto in arrivo si sono fatte sempre più insistenti. Comprensibile vista la paura e l’ansia che genera una sequenza sismica che dura 3 mesi rinforzata da un magnitudo 4 che fa saltare giustamente i nervi. Comprensibile viste le chiecchiere a vanvera di G. Giuliani [1]. Pochi sanno ancora oggi che di sequenze sismiche come quella finite però senza un forte terremoto o vittime da crollo di edifici nella stessa città dell’Aquila già ce ne sono state in passato.

Dopo il terremoto la Commissione Grandi rischi è stata messa sotto accusa per le 308 vittime. La tesi dell’accusa non è che il terremoto fosse previsto o prevedibile ma che la Commissione Grandi Rischi abbia, non avendo gli elementi per farlo, rassicurato la popolazione sul fatto che un forte terremoto non ci sarebbe stato, di fatto facendo si che le persone restassero in casa la notte del 6 Aprile 2009, nonostante l’eventuale istinto.

Ecco.  E’ qui che mi è venuto un lampo.

Il ragionamento: supponiamo per un attimo che la commissione non si sia mai riunita e che quindi non abbia avuto nemmeno la possibilità di rassicurare nessuno, e che davvero tutte le 308 vittime quella notte avessero deciso di scappare fuori casa o di non rientrarvi per una qualunque ragione legata alla paura, salvandosi così dai crolli dei rispettivi edifici.

Secondo la tesi accusatoria, e secondo molte persone comuni, le 308 vittime non ci sarebbero state.

Ma ci sono oltre 70.000 persone che COMUNQUE fossero andate le cose non avrebbero comunque, e non hanno infatti, perso la vita indipendentemente da quello che la Commissione Grandi Rischi avesse detto o fatto. Se si fosse riunita o meno, se avesse riassicurato o no … oltre 70.ooo persone NON sarebbero morte.

E’ questo il vero dato. La cosa che dovrebbe saltare all’occhio. E farci chiedere PERCHE’ quelle persone non sono morte.

Durante una forte scossa si può morire per poche ragioni: la paura è una di queste. Ci sono sempre, anche nei paesi più preparati al rischio sismico, decessi per attacco cardiaco dovuto alla paura sommata alle condizioni fisiche. Niente o quasi può impedirlo.

La stragrande maggioranza delle vittime però è legata al collasso degli edifici che non rispettano le norme antisismiche o al crollo di parti di essi (per esempio i cornicioni).

Ecco: pur supponendo che quella notte una certa percentuale degli oltre 70.000 residenti dell’Aquila non fosse presente nella città e nei paesi limitrofi, restano comunque decine di migliaia di persone vive nonostante il terremoto e indipendentemente dal fatto che la commissione si sia riunita o meno il 30 Marzo 2009 e da qualunque cosa abbia detto o omesso quel giorno.

Settantamila persone oggi sono vive perché gli edifici in cui si trovavavano quella notte magari hanno subito ingenti danni MA … NON gli sono crollati addossi. Lasciando loro modo e tempo, finita la scossa, di allontanarsi e mettersi in salvo.

Allora mi chiedo: se quelle 308 vittime invece sono morte è perché qualcuno ha detto qualcosa di rassicurante, se lo ha fatto, e loro hanno deciso di crederci? … o perché vivevano o si trovavano, per scelta o loro malgrado (come nel caso della casa dello studente) in edifici criminalmente irrispettosi delle più elementari norme antisismiche?

Se anche nessuno avesse proferito parola (nè la Commissione Grandi Rischi nè il sedicente previsore di terremoti G. Giuliani) e quelle persone fossero andate via dalle loro “fragili” abitazioni dopo il magnitudo 4 del 30 Marzo per rientrarvi però poi giocoforza dopo una, due o anche tre settimane … e se poi il terremoto si fosse verificato il 6 Maggio … non sarebbero comunque andate incontro alla morte? Con chi ce la saremmo presa allora?

Dopo queste 308 vittime, ultime di una lunghissima lista, è cambiato qualcosa sulla reale applicazione delle norme antisismiche in Italia? E sul dissesto idrogeologico?

Gli stessi Aquilani oggi sentono che la loro città fra qualche anno, se mai sarà ricostruita, sarà più sicura? E’ un loro obiettivo? O lo è per i Calabresi? E per i Napoletani che vivono dentro il Vesuvio?

Se non fra 10 anni forse fra venti o cinquanta, se non i genitori di oggi sicuramente i nipoti di domani e se non L’Aquila sicuramente un’altra fragile città Italiana, un altro terremoto lo subiranno. Questo è certo.

Dopo quasi tre anni dagli eventi del 6 Aprile 2009 io temo che, comunque si concluderà il processo alla Commissione Grandi Rischi, quelle 308 persone che hanno perso la vita saranno, come tutte le vittime di tutti i disatri di questo Paese, morte invano. Perché ancora oggi troppe persone stanno guardando al dito ma proprio non riescono a vedere la Luna.

E al prossimo terremoto, alla prossima alluvione, alla prossima frana … di nuovo moriranno quelle 308 persone. Ancora e ancora.

[1] Non esiste alcuna prova scientifica a tutt’oggi che i grafici di Giuliani abbiano una qualunque corrispondenza con eventi sismici che esca dalla pura causalità. Nè che quei grafici o il metodo abbiano un senso scientifico. Ma comunque, in base ai video che ho visto (centinaia ce ne sono su youtube) di sicuro NON ha previsto l’evento del 6 Aprile … e peraltro il 23 Marzo era in una TV locale a RASSICURARE i suoi concittadini (parole sue) che la sequenza di li a poco sarebbe finita.

6 Aprile 2009

Il 6 aprile 2009 alle 4:00 a.m. non ero già più a casa mia. Sarei arrivato all’Aquila solo 2 ore e  mezza dopo, per svolgere il mio lavoro.

Le ore e i giorni che sono seguiti hanno lasciato un segno.

Adesso però voglio lasciare questo spazio a un altro blog, 6 aprile 2009, di cui riporto il post più recente.

Ci rifanno …

TERREMOTO, RICOSTRUZIONE e … POTERI SPECIALI …

Riporto per intero un articolo da “il Manifesto” di oggi, sulla ricostruzione e gli appalti connessi.

TERREMOTO – Affidati a sedici aziende i cantieri per i new village. Lavori per 316 milioni di euro, niente sindacati e tanta fretta.
Prefabbricati a L’Aquila, vincono i costruttori dell’ospedale crollato

di Andrea Palladino
Sedici aziende sono state selezionate – su cinquantasette partecipanti – per realizzare i new village per il dopo terremoto. Avranno a disposizione un budget di 316 milioni di euro e tempi tanto stretti da sembrare poco credibili, che – se tutto va bene – porteranno fuori dalle tende dodicimila aquilani entro fine dicembre. La protezione civile ha così chiuso ieri la gara per il piano Case – i prefabbricati che nasceranno in venti aree del comune di L’Aquila. Un pezzo consistente delle opere è stato affidato a tre aziende abruzzesi, che realizzeranno 8 lotti su 30, per un totale 84 milioni di euro di lavori. Sono imprese ben conosciute, costruttori locali di vecchia data, che contano nel panorama economico aquilano: il consorzio Consta, la Maltauro e Taddei spa e i fratelli Frezza.
La Taddei è l’azienda maggiormente coinvolta in questa fase. Con la controllata Edimo si era già aggiudicata – con un appalto ad invito, senza gara europea – la realizzazione dei pali delle fondazioni antisismiche dei prefabbricati.

Ieri la protezione civile gli ha affidato la realizzazione di cinque lotti – su un totale di trenta messi a gara – dove saranno realizzati gli edifici prefabbricati. C’è poi la società dei fratelli Frezza, di cui ha parlato ampiamente il manifesto il 16 aprile. Armido Frezza – che con il fratello Walter realizzerà uno dei trenta lotti, per un importo di quasi 11 milioni di euro – ha firmato gli ultimi lavori dell’ospedale San Salvatore, che non ha retto il terremoto del sei aprile. La società Frezza aveva realizzato, tra l’altro, la ristrutturazione del piano terra del blocco operatorio, dove le colonne scoppiarono letteralmente durante il sisma. Un appalto, quello dell’ospedale, che presentava poi alcune curiosità. Secondo quanto venne denunciato il 29 marzo scorso dal direttore dei lavori Sergio Angelini la fornitura delle attrezzature mediche – accorpate con la realizzazione dei lavori edili – aveva subito un ricarico fino al 60%, quando la normativa prevede una percentuale massima dell’11,74%. Il legame dei fratelli Frezza con le cronache del terremoto non si ferma all’ospedale. I familiari delle sette vittime di via XX settembre 79 hanno puntato il dito contro i costruttori aquilani, che – secondo quanto hanno denunciato in un esposto dopo il terremoto – avrebbero realizzato alcuni garage scavando sotto le fondamenta del palazzo crollato. Ad oggi – mentre si aggiudicano i lavori del dopo terremoto – non c’è ancora nessun indagato per i crolli troppo prevedibili dei palazzi de L’Aquila. Il procuratore Rossini ha rinviato ogni decisione a settembre. «Se ci saranno illeciti penali interverremo », ripetono dalla Procura.
La sola preoccupazione a quasi tre mesi dal sisma è di far presto. «Ci vorranno 30 giorni per i progetti esecutivi
e 80 per la realizzazione del primo blocco di prefabbricati», commenta Carlo Taddei, della Taddei Spa. «Il margine di profitto – continua – è molto basso e le penali altissime». Il sindacato degli edili è stato tenuto lontano dalla protezione civile e sarà molto difficile mettere il naso nei cantieri che verranno aperti. «Io non ho nulla contro i sindacati – continua Taddei – vengo dalla gavetta.
Ma nella mia azienda di sindacato non ce n’è bisogno». E per fare presto le aziende potranno ricorrere facilmente ai subappalti, fino al 50% dei lavori. Nei giorni scorsi a L’Aquila sono arrivati i saldatori bresciani
per preparare le fondamenta. E nei cantieri dove opereranno migliaia di edili ci saranno tanti dialetti e pochi
delegati.

Un futuro prevedibile …

Torno per la seconda volta sul terremoto. Sulla prevedibilità dei terremoti segnalo solo due approfondimenti. Il primo è che all’Università FedericConferenza: prevedibilità terremotio II si è tenuto, pochi giorni fa, un convegno sul tema, presente anche Giuliani. E’ interessante perché si capisce un po’ meglio, secondo me, la pochissima consistenza sia scientifica che di buon senso delle sue “previsioni”. Sono però contento che sia stato invitato, ascoltato e messo alla prova. Un buon commento lo ha fatto Marco Cattaneo qui.

La seconda segnalazione è quella di un articolo di Science, rivista che insieme a Nature rappresenta il top delle pubblicazioni scientifiche mondiali di larga diffusione e massimo impatto. L’articolo contiene anche parti di una intervista a un ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Lo trovate qui.

Per quanto riguarda i terremoti, molti italiani ancora non hanno idea di cosa sia davvero un terremoto e per questo, come sempre succede,con qualunque “rischio”, sono più fragili ed esposti. Eppure viviamo in uno dei settori più sismici dell’area mediterranea. Non solo ma, fra le tante zone sismiche del mondo, l’Italia è anche una di quelle con la “storia” più complessa e difficile da ricostruire. L’Appennino non è la San Andreas. Qui non c’è una faglia lunghissima, verticale, trascorrente (cioè a movimento laterale) e relativamente semplice. Ce ne sono centinaia di piccole medie e grandi dimensioni. Molte di queste sono vicine le une alle altre. La maggior parte è situata lungo la catena appenninica dove, infatti, è localizzata la maggior parte dei terremoti. I terremoti si generano quando le rocce, sottoposte a forti stress per la dinamica legata alla tettonica delle placche, accumulano una forte deformazione fino a rompersi lungo una faglia oppure fino a riattivare una faglia già esistente. E’ l’improvviso movimento delle rocce,che, propagandosi, genera le oscillazioni in superficie, che in alcuni casi diventano distruttive. Se si riesce a immaginare una massa enorme di rocce che si sposta, anche solo di un metro, in un contesto di faglie come quello descritto sopra, allora si capisce perché quando si verifica un forte terremoto … sia lecito aspettarsene altri anche altrettanto forti. Ma … non è detto che si verifichino.

Immaginare gli sforzi che producono i terremoti e le ripercussioni delle deformazioni prodotte da un terremoto sulle faglie circostanti fa sicuramente venire più ansia di quanta già non ne abbia chi ha subito un terremoto, ma è sicuramente più aderente alla realtà scientifica del fenomeno.

In Italia ci sono almeno 2000 terremoti all’anno (in tempo di “pace”, cioè quando non ci sono sequenze sismiche importanti) di magnitudo superiore a 1.0. La maggioranza di questi NON è avvertita dalla popolazione. E’ un continuo “scricchiolamento”, un continuo scorrere e fratturarsi che dà l’idea di come l’Italia non stia mai ferma. Di questi terremoti alcuni sono avvertiti perché abbastanza forti. A parità di magnitudo un terremoto profondo si avverte meno in superficie (perché le rocce stesse attenuano la deformazione generata dal terremoto) ma se si avverte può essere avvertito su un’area più vasta. Uno più superficiale può essere avvertito di più anche se più debole. Sempre a parità di magnitudo e di ipocentro, due zone molto vicine caratterizzate da terreni molto diversi (uno su roccia e uno, per esempio, sui sedimenti di un antico lago) subiscono oscillazioni anche molto diverse. Infine, a parità di tutto il resto, la percezione dell’evento sismico cambia, questo lo si sa bene, se si sta al piano terra o all’ultimo piano di un palazzo piuttosto alto.

I terremoti forti sono molti meno di quelli piccoli e non hanno tutti lo stesso comportamento rispetto a ciò che li precede e segue. Per esempio il 23 dicembre 2008 c’è stato un magnitudo 5.2 a Parma. A occhio, non è stato preceduto da una lunga  sequenza ed è stato seguito da una normale sequenza di terremoti di magnitudo più o meno decrescente. Ha fatto molta paura … ed è finito li. Il terremoto dell’Aquila invece è stato preceduto da una lunga sequenza e seguito da una lunga sequenza che ancora non si è conclusa.

Di fronte a questa situazione, dal punto di vista sismico, il problema non è tanto se i terremoti siano prevedibili (per ora no, ma speriamo di arrivarci vicini un giorno) ma cosa imparano gli italiani dai terremoti e dalle tante vittime che seguono gli eventi sismici.

I giapponesi per esempio hanno imparato molto da un terremoto fortissimo che ha colpito la città di Kobe nel 1995. Io non ne so molto del post-Kobe, quindi cito Wikipedia. Su Wikipedia si legge quanto segue:

Il terremoto diede una sterzata notevole alla riorganizzazione della protezione civile giapponese. Il Giappone installò supporti di gomma sotto i pilastri dei ponti per assorbire le vibrazioni dei terremoti e sotto gli edifici ricostruiti che vennero separati fra di loro per aver modo di oscillare sotto l’effetto dei sismi. […] In risposta agli immensi danni registrati alle infrastrutture di trasporto, ed alle conseguenze sui tempi di risposta in occasione di disastri naturali, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti designò determinate strade e linee ferroviarie che vennero messe a norma con le più severe leggi antisismiche varate nel dopo Kobe. Nello stesso tempo vennero adeguati anche gli edifici presenti lungo queste direttive di marcia in modo che possano resistere al meglio in occasione di altri eventi sismici di alto petenziale distruttivo.” [continua].

L’Italia aveva uno dei più bei territori dell’area mediterranea, ma si è rifiutata di preservarlo. Per ignoranza e stupidità della solita maggioranza (del popolo) forse ma più che altro per l’idea di fondo che la speculazione edilizia, come qualunque altro genere di speculazione, significhi … LIBERTA’. In questo senso noi SIAMO il popolo delle libertà. E ne paghiamo le conseguenze.

Ho detto che l’Italia è un paese che piuttosto che investire nelle costruzioni antisismiche, gioca al lotto e intanto fa gli scongiuri. E’ così col terremoto, è così con i rifiuti. L’Italia è un paese che piuttosto che investire in pannelli solari almeno il doppio di quanto fa l'”assolata” Germania, REGALA, con un imbroglio, i nostri soldi del CIP6 agli inceneritori, generatori di cancro passati per “l’unica soluzione”!

Alla base di certe scelte che la politica fa, non c’è solo la malafede dei governanti ma anche la poca volontà degli italiani di approfondire argomenti che incidono sulla nostra vita quotidiana molto più di una partita di calcio o della finale del grande fratello. E poi la stampa e la TV, che dovrebbero approfondire, informare e anche orientare l’attenzione del pubblico non lo fanno.

PS: non sono esperto di prezzi della sabbia da costruzione e non so se sia vero che sia stata o meno usata sabbia di mare in alcune costruzioni a l’Aquila, ma sospetto che l’affermazione che NON è stata usata perché costerebbe troppo portarla dal mare a l’Aquila non mi convince. Per una semplice questione di logica. Che cos’è che di solito rende una cosa non conveniente molto conveniente? Il non rispetto delle regole, il comportamento non legale e mafioso. Ebbene sospetto che anche la sabbia di mare della calabria, se cavata illegalmente e trasportata all’Aquila dalla ‘ndrangheta, sarebbe assolutamente conveniente, considerando che siamo nell’era in cui una maglietta può essere filata in Cina, colorata in Italia, confezionata in Francia e rivenduta in Cina!