Gli haters (o odiatori seriali), i leoni da tastiera, i nuovi mostri.
Sono i simboli e le conseguenze, a detta di molti e mi pare nel sentire comune, della pessima influenza dei social che hanno “sdoganato” l’odio. Un fenomeno moderno insomma.
Rancori vomitati addosso ad altri, ritenuti più deboli, e pubblicamente. Cattiverie, aggressività discriminazione e bullismo che una cosa del genere non s’era mai vista. Questo mi sembra il pensiero dominante.
A mio avviso invece non c’è nulla di particolarmente nuovo in tutto questo. Parafrasando Baricco, è forse una rivoluzione della tecnologia ma non della mente. I social in tutto questo sono solo un nuovo mezzo per qualcosa che non è nulla di realmente nuovo.
Facebook, Twitter, Instagram e tutto il resto sono in realtà la versione digitale del tuo piccolo paesello di provincia. Quel luogo di cui la cronaca nera di qualunque nazione, spesso racconta gli eventi allucinanti, la bruttezza di alcuni esseri umani e la solitudine mortale di altri.
Quanti followers/amici (Twitter, Instagram, Facebook ecc) hai? Cento? Mille? I più famosi ne hanno milioni ma in media fra gli esseri umani non influencers qualche migliaio è proprio il massimo. Insomma, al più, un paesello.
Il paesello certo non è un luogo preciso, è un luogo della rete e quindi chi vi abita, i tuoi compaesani, possono essere e sono di solito geo-delocalizzati. Ma tutto qui. Puoi nascondere a tutti o a specifici amici certe informazioni (e alcuni lo fanno) ed è equivalente a non uscire di casa nel tuo paesello o evitare alcune persone che comunque possono parlare/leggere di te altrove nello stesso social tramite le relazioni intermedie.
Se posti qualcosa su FaceBook quindi è più o meno come scendere nella piazza del paese e dire una cosa ad alta voce o fare chiacchiere di Paese, da Bar, appunto un po’ con tutti. C’è chi ti ascolta e chi no ma, se interessa, la voce gira fra i tuoi compaesani e anche fuori dal tuo paese.
Quando fai un post su Facebook o un tweet su Twitter stai di fatto parlando dei tuoi pensieri con un megafono al bar o in piazza e non all’orecchio di qualcuno (anche perché col megafono sai che male?).
Ora gli haters, i leoni da tastiera.
Se vivi in un piccolo paese di provincia (o se lo frequenti e tieni le orecchie aperte) dopo un po’ senti racconti di ogni genere. Non parlo di roba che sia andata in cronaca.
Racconti e pettegolezzi, voci di paese storie su questa o quella persona, a volte aneddoti divertenti a volte storie molto brutte e vicende agghiaccianti di nonnismo, sopraffazione, arretratezza, bullismo. Chiacchiere infamanti su altri. Escono, a volte alla chetichella, la cattiveria e le pesanti conseguenze che questa ha avuto sulle persone. Voci vere o, più spesso, false e ai più non importa.
Voci false che frequentemente diventano vere per forza di paese, o cose vere e personali che diventano dominio pubblico e a volte il marchio su persone innocenti. Storture che altro non sono che l’attività di haters di un piccolo paese.
Che ci sono sempre stati. E se la voce la mette in giro il “grosso”, il coatto boss, pesa anche di più.
I bulli, i piccoli potenti e prepotenti, i repressi o gli stronzi di un luogo fisico, in questo caso, che se la prendono con i deboli, quelli visti come diversi per esempio. E poi le leggende urbane: i tuttologi che sanno pure la “geologia” orale di un luogo (in pieno contrasto con quella reale). Terrapiattisti che pure se glie la spieghi coi dati non si convincono.
Quando l’odio, il bullismo la cattiveria si scatenano su una persona in un paesello l’effetto è deleterio, duraturo (soprattutto se dal paesello non te ne vai mai) e all’apice può portare al suicidio, all’abuso permanente e molto altro che non voglio manco sapere. Vogliamo parlare degli stalkers? Piccoli mediocri complessati e incasinati che tante volte in passato hanno reso la vita impossibile alle vittime che poi sono in alcuni casi finite male. E i ricatti lunghi anni, spesso legati a sfruttamento e sevizie sessuali, che restano li magari noti a tanti nel paese che sanno, sospettano ma … . Storie di sopraffazione e odio.
Questo genere di realtà, meschina, gretta, triste e pesante, in cui i più deboli da sempre restano invischiati, oggi, nel mondo dei social, non è diversa solo che, per fortuna, si sa. E questo fornisce strumenti prima inesistenti, di indagine, di prova e anche macchine di solidarietà prima durissime da attivare.
Oggi nel mondo globale, a differenza di ciò che avveniva ieri in realtà isolate e piccole, tutto questo grazie ai social rompe i confini e un atto di pesante bullismo non avviene più necessariamente nel tuo mondo isolato ma ne può rompere gli argini e venire a conoscenza di una cerchia più ampia. I bullizzati rischiano di vedere la loro storia ancora più diffusa anche in dettagli davvero pesanti e umilianti, certo, ma è anche vero che non sono più del tutto soli. Nei paeselli fisici la solitudine è totale solo che non si sa e a volte è proprio questo a essere mortale.
Oggi i chiacchiericcio da bar, le cattiverie, il bullismo escono dal cerchio magico (anche se i bulli se ne rendono conto troppo tardi arretrati come sono) e la probabilità che una vicenda triste serva a evitarne altre più tristi, a rompere l’isolamento è più alta.
Lo dimostrano le conseguenze che iniziano a fioccare per gli haters quando attaccano personaggi pubblici o quando qualcuno denuncia. Il loro odio è altrettanto pubblico e l’arma diventa a doppio taglio. Prima potevi diffondere fango su una persona anche famosa e non farti manco vedere, oggi in qualche modo ci metti comunque la firma digitale e questa è una gran cosa.
A parte questo:
- il villaggio dell’odio è un elemento atavico
- anche se li chiamiamo social, sono un paesiello