I padri costituenti

L’argomento di questo post è il taglio del numero di parlamentari.

C’è uno spiegone riassuntivo per chi si fida molto e poi i fatti a supporto. Potete saltare lo spiegone e leggere i fatti oppure (ma non lo preferisco) l’inverso.

  • lo spiegone
  • i fatti:
    • i costituenti e il coefficiente aureo
    • infallibilità dei costituenti
    • federalismo incompreso

Lo spiegone

  1. il numero attuale di parlamentari, difeso dai sostenitori del NO, non è stato deciso dai padri costituenti ma dal IV Governo Fanfani nel 1963;
  2. i padri costituenti non decisero un numero fisso di parlamentari ma stabilirono invece un rapporto “1 deputato ogni quanti abitanti” di 1:80.000 per la Camera e di 1:200.000 per il Senato. Il rapporto, non il numero assoluto, è un reale principio di rappresentanza parlamentare, a prescindere dall’efficienza del parlamento;
  3. c’è un limite nel numero di parlamentari sotto al quale un paese non può scendere, altrimenti non funziona lo stato (le commissioni in primis); d’altronde il numero di abitanti per parlamentare deve per forza crescere (e la rappresentanza scendere) al crescere del numero di cittadini/elettori, altrimenti il parlamento raggiungerebbe dimensioni insostenibili (Figura 1);
  4. i padri costituenti non erano investiti della univoca saggezza suprema (loro ne erano perfettamente coscienti mi pare, noi meno) ma anzi avevano idee molto diverse su questo argomento e la discussione durò mesi, esprimendo idee che oggi sarebbero considerate un attentato alla costituzione in termini di rappresentanza democratica;
  5. i sostenitori del NO contestano l’uso dei numeri del Congresso USA e del parlamento della Germania da parte dei sostenitori del SI al taglio. Ma l’argomentazione dei sostenitori del NO non è corretta. La rappresentanza non è un concetto assoluto perché dipende dalle competenze specifiche dell’organo elettivo. La Germania, quanto a ripartizione delle competenze è paragonabile (anche se non identica) all’Italia e alle sue regioni e quindi è un corretto termine di paragone. Gli USA invece sono una vera federazione di stati (non di regioni) e i parlamenti dei singoli stati hanno competenze esclusive importanti quindi i loro parlamenti contano come rappresentanza democratica MA da soli e NON sommati ai parlamentari del Congresso perché quello che compete a loro (come la pena di morte) è rappresentato solo dal loro parlamento e non dal Congresso degli Stati Uniti. Mettendo a confronto i singoli stati USA con il resto del mondo si capisce che le regole di base della rappresentanza sono le stesse di tutti e che l’Italia post taglio sta abbastanza bene quanto a rappresentanza democratica, più della California e meno del Michigan, più di Germania e USA e meno della Svezia. Inoltre se confrontiamo l’Italia con uno stato americano dobbiamo scegliere quello con un numero confrontabile di cittadini o meglio di aventi diritto al voto, per esempio la California.
  6. Una delle ragioni del SI, il risparmio, è forse risibile per alcuni sebbene sia un risparmio che finanzierebbe in modo permanente due enti di ricerca, ma quelle del NO, per quanto legittime, sono a mio avviso motivate con luoghi comuni e non sono supportate da dati e storia.

Tutti, a mio avviso, sostenitori del SI e sostenitori del NO, dovrebbero unirsi piuttosto in una strenua battaglia per cestinare l’attuale legge elettorale che, come nel resto del mondo e nella storia, è IL VERO UNICO ago della bilancia della rappresentanza democratica. Qualunque sia il numero di parlamentari (anche gli attuali 945) siamo a rischio di dittatura (estremizzando) o (più verosimilmente) finto-democrazia eletta, a causa della legge elettorale, dei premi di maggioranza, del senato regionale, come insegna la vicenda del Fascismo e della legge Acerbo.

Si può essere favorevoli o contrari al taglio dei parlamentari e a mio avviso le due posizioni potrebbero essere entrambe lecite per una serie di ragioni. Ma le modalità per sostenere la propria tesi non sono tutte lecite. Quello che trovo fastidioso è la modalità “attentato alla democrazia” che sta portando i sostenitori del “NO” a usare, a mio avviso, alcuni argomenti a sproposito.

Fine dello ‘spiegone‘. Sotto ci sono i fatti alla base dello spiegone.

Punto primo: i Padri Costituenti e il coefficiente aureo.

Una delle cose che i sostenitori del “NO” al taglio ripetono spesso è che il numero di parlamentari sia stato deciso dai padri costituenti. Il che sottintende che chi oggi sostiene il taglio stia andando contro principi democratici assoluti. Come se 630+315 fosse il numero aureo da loro stabilito nel pieno rispetto del principio di rappresentanza democratica.

Ho letto un interessante articolo pubblicato da Left intitolato “Ecco come l’Assemblea costituente stabilì quale doveva essere il numero dei parlamentari“.

Prima cosa essenziale da capire è che i costituenti, nel dibattito iniziato il 4 settembre 1946 dove cercavano la quadra per la Costituzione, espressero molte idee diversissime tra loro, alcune delle quali sarebbero considerate attentati alla democrazia dagli odierni sostenitori del NO. Solo alla fine arrivarono a decidere NON un numero fisso di parlamentari MA (e cito direttamente dal dibattito riportato nell’articolo):

  • Art. 56. La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
  • Art. 57. Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d’Aosta ha un solo senatore.

Cioè, parlando di rappresentanza, stabilirono il numero di cittadini rappresentabile da ogni deputato. Come è logico che sia se parliamo del principio di rappresentanza. Eh, però …

… fu solo sotto la terza legislatura (il IV Governo Fanfani), presidente della Repubblica Antonio Segni, che fu scritto in costituzione, tramite la Riforma Costituzionale del 1963 un numero fisso di parlamentari in luogo del numero di cittadini per ogni parlamentare.

Simuliamo cosa sarebbe successo secondo il VERO principio dei costituenti, cioè quale sarebbe stato il numero dei parlamentari, nel 1947 (firma della costituzione), nel 1963 (quando invece fu fissato il numero) e oggi  (o meglio nel 2018) ai tempi del taglio dei parlamentari:

AnnoAbitantiCameraSenatoTotale
194745910000574230803
196351060000638255894
2018604839737563021058

Quindi, ristabilito il principio che i padri costituenti non furono Fanfani Presidente del Consiglio e Segni Presidente della Repubblica nel 1963, se qualcuno ha fatto un attentato alla democrazia sarebbero stati proprio loro.

Dunque, i sostenitori del NO dovrebbero, secondo quanto dicono, riflettere di più su cosa stiano difendendo: oggi infatti dovremmo avere 1058 parlamentari contro i 945 attuali … c’è, secondo il principio che dicono di difendere, un vulnus COSTITUZIONALE di rappresentatività da decenni. Difendere la riforma costituzionale di Fanfani, come sta di fatto accadendo, non ha senso.

Non ha però senso neppure pretendere di mantenere fisso il rapporto 1:80000 e 1:200000 quando la popolazione cresce troppo. Il perché è spiegato nella didascalia di Figura 1 in fondo al post e nel punto terzo.

Punto secondo: infallibilità dei padri costituenti.

Leggete il dibattito passaggio per passaggio, intervento per intervento per capire COSA animasse le singole istanze. C’era chi sosteneva che un numero congruo di deputati fosse un fisso 300 per svolgere le funzioni dell’assemblea (Conti Giovanni, relatore, repubblicano); c’era invece chi sosteneva che 1 deputato ogni 8omila per la camera fosse il numero giusto … per tradizione (Fuschini Giuseppe, democristiano); c’era chi invece ribatteva (sempre Conti, il relatore) “che gli oppositori alla restrizione del numero dei Deputati partono da un criterio non democratico, perché capovolgono la concezione del nuovo Stato che sarà organizzato con il criterio non tanto della rappresentanza al centro, quanto della rappresentanza alla periferia […] la risoluzione di molti problemi sarà affidata alle regioni”.

Conti peraltro aggiunge: “Il popolo italiano disgraziatamente ha una sola abitudine circa il Parlamento: parlarne male; e con la nuova Costituzione occorrerà elevare il prestigio del Parlamento, al che si giunge per una via soltanto: diminuire il numero dei componenti alla futura Camera.”

E poi c’è la dichiarazione di Einaudi il liberale “Einaudi Luigi, liberale, è d’accordo con l’onorevole Conti sulla opportunità di ridurre il numero dei membri, sia della prima Camera [che era di 500 pare, n.d.r.] che della seconda, anche per ragioni, che crede evidenti, di tecnica legislativa. Difatti, quanto più è grande il numero dei componenti un’Assemblea, tanto più essa diventa incapace ad attendere all’opera legislativa che le è demandata.

E’ evidente che oggi si parla di Costituenti attribuendogli la sapienza divina senza considerare che cercavano invece una quadra in un sistema, quello democratico, che non si basa fondamentalmente SOLO sui numeri o sui coefficienti ma sull’onestà e l’efficienza senza le quali non esistono equità, libertà e giustizia nemmeno in democrazia.

I padri costituenti, dopo lungo dibattito, approdarono a un coefficiente (1:80000 e 1:200000) che era, NOTARE BENE, frutto NON di un principio sociale scientifico, ma bensì di un mediazione fra opinioni anche antitetiche. L’opinione vincente furono i rapporti “1 parlamentare ogni quanti abitanti” di cui sopra.

La conclusione è che chi oggi si oppone a una riduzione del numero di parlamentari sta in realtà difendendo una riforma del 1963 e non le scelte dei costituenti i quali comunque, liberali, democristiani, comunisti o socialisti, non Cinquestelle, sostenevano non solo il principio di rappresentanza democratica (avendo idee diversissime su quale numero o rapporto fosse congruo) ma anche quello di efficienza e di fiducia del popolo nelle istituzioni.

Punto terzo: il federalismo incompreso

I sostenitori del SI al taglio dei parlamentari portano come esempio di basso numero di parlamentari pro-capite in nazioni democratiche e/o efficienti la Germania e gli USA.

I sostenitori del NO si oppongono replicando che questi sono due stati federali dove il popolo ha una elevata rappresentanza perché ci sono i governi dei Länder (Germania) e degli Stati (USA).

C’è però probabilmente un errore di fondo nel considerare il federalismo genericamente come una sommatoria di rappresentanze. La rappresentanza in uno stato federale è relativa al singolo argomento, dipende cioè dalla ripartizione delle competenze e se queste siano esclusive o condivise.

A leggere la suddivisione delle competenze fra Länder e Governo Federale in Germania è evidente che per ogni singolo aspetto essenziale della vita di un cittadino tedesco domina la legislazione nazionale ed è lasciato alla “autonomia” dei Länder quello che resta purché non sia in conflitto con la legge nazionale. Ci sono, pare, diversi scontri di competenza che finiscono in tribunale ma di fatto è molto simile alla nostra ripartizione di competenze fra Stato e Regioni. Quindi è assolutamente legittimo dire che a rappresentare il cittadino tedesco sia il parlamento ed è corretto dire che la Germania ha un parlamento proporzionalmente meno numeroso dell’Italia. Non è direttamente collegato al numero di parlamentari, ma è innegabile che lo stato tedesco sia più efficiente in linea di massima. E se noi abbiamo una sanità e un sistema scientifico che stanno agendo e reagendo meglio al COVID-19 non lo si deve di certo al numero di parlamentari o alle regioni ma ai tecnici che più di una volta in passato si sono dovuti appellare a un parlamento numeroso ma sordo. Dunque la Germania è un esempio corretto ed ha un numero relativo di parlamentari inferiore rispetto all’Italia.

Invece gli USA sono effettivamente uno stato federale. Perché le competenze dei singoli stati su argomenti essenziali per il cittadino americano, che vanno dalle libertà personali, ai diritti civili (unioni fra individui, pena di morte, consumo di sostanze ecc), il lavoro, la polizia e tante tante altre cose sono appannaggio esclusivo del parlamento locale e non del Congresso e sono quindi normati dal parlamento locale anche in contrasto con altri stati dell’unione. Ogni stato ha una Camera Bassa (Rappresentanti) e una Camera Alta (Senato) e quelle sono rappresentanti democratiche esclusive per gli argomenti di loro competenza. I dati di Camera e Senato per tutti gli stati a guida Dem (l’ho scelti appositamente) e per due a guida Repubblicana sono riportati qui sotto in ordine crescente di rapporto (cioè secondo la teoria del “NO”, in ordine decrescente di rappresentanza democratica): il Montana sarebbe il più democratico e la California la meno democratica.

StatoAbitanti per parlamentareCameraSenatoTotaleAbitanti
USA/Montana7082100501501062305
USA/Maine7151151351861330089
USA/Rhode_Island931575381131052567
USA/Delaware15600412162967171
USA/Mississippi17053122521742967297
USA/Kansas17645125401652911505
USA/New Mexico1870970421122095428
USA/Connecticut19113151361873574097
USA/Minnesota28257134672015679718
USA/Louisiana32361105391444659978
USA/Kentucky32374100381384467673
USA/Alabama34707105351404858979
USA/New York40482150632138622698
USA/Winsconsin4361899331325757564
USA/Oregon465636030904190713
USA/Nevada481654221633034392
USA/Pensylvania504492035025312763536
USA/Washington5126398491477535591
USA/Carolina del Nord56091120501709535483
USA/Colorado5695665351005695564
USA/Virginia59473100401408326289
USA/Michigan66959110381489909877
USA/Illinois727721185917712880580
USA/New Jersey7423880401208908520
USA/California329642804012039557045

Quindi un cittadino americano della California o del Montana è rappresentato dal suo parlamento californiano o del Montana per quanto riguarda per esempio la legalizzazione della marjuana, le unioni civili, il lavoro (non so in che misura) ecc e dal Congresso degli Stati Uniti per la guerra, l’economia, norme su evasione fiscale, per la difesa dei confini e altre cose. Dunque se si deve fare un confronto fra Italia e USA non si può fare con il solo Congresso certo, ma nemmeno con la somma dei tanti parlamenti: sarebbe una cosa sciocca. Ogni singolo stato degli Stati Uniti entra in modo indipendente con il suo parlamento nel grafico e si confronta con gli altri stati del mondo perché ha un parlamento e una autonomia su molti temi pari a quella di stati come l’Italia, la Francia, la Germania. E il grafico che ne risulta è quello qui sotto. E’ evidente, secondo la logica dei sostenitori del NO che la California sarebbe uno stato a bassissima rappresentanza democratica così come il Congresso USA, mentre il Montana è a livelli della Svezia.

L’Italia prima del taglio è ai livelli di Virginia, Colorado, Michigan e Francia e dopo il taglio a livelli molto più alti di quello della California e degli USA collocandosi in posizione quasi paritaria fra Germania e Canada.

Quindi tenendo conto della natura del federalismo, l’Italia dopo il taglio dei parlamentari sembrerebbe sempre all’interno della ragionevole rappresentanza democratica. Ma più che altro è evidente che entro certi limiti questa rappresentanza democratica non influenza il funzionamento corretto dello stato né il suo livello di democrazia e liberalismo.

Nazioni e Stati degli USA ordinati per numero di Abitanti rappresentati da un singolo parlamentare

Figura 1: Nazioni del Mondo e Stati USA (preceduti da “USA/”) ordinati per numero crescente di abitanti rappresentati da un singolo parlamentare. Secondo la teoria del NO al taglio, verso sinistra le Nazioni o gli Stati considerati a maggiore rappresentanza democratica (e lontani da rischio “pieni poteri”) e a destra le nazioni o gli stati a minore rappresentanza democratica. In rosso la posizione dell’Italia prima del taglio e dopo il taglio.

Il grafico fa sorgere anche un dubbio: gli Stati USA sono quasi tutti a sinistra della attuale situazione Italiana, cioè hanno una rappresentanza numerica più alta anche di Spagna, Francia, Belgio, Svezia, Italia, Germania ecc.

Anche questo è un fatto in larga parte apparente: gli stati USA in tabella variano da un minimo di circa 1:7.000 (Montana) a un massimo di 1:330.000 (California) parlamentare ogni tot abitanti. Si potrebbe dire quindi, più che altro, che c’è una enorme disparità di rappresentanza democratica in USA fra i vari stati. Ma non è proprio così. C’è un perché che di nuovo nulla ha a che fare con la democrazia. Una regola che vale in USA e nel mondo (salvo storture): il rapporto fra numero di parlamentari e numero di cittadini non può essere costante (in questo topparono anche i costituenti).

Pretendere la rappresentanza democratica costante (rapporto) è in opposizione all’efficienza di un parlamento, sia verso l’alto che verso il basso. Sotto un certo numero di parlamentari infatti, per come funziona la democrazia parlamentare in media nel mondo, le funzioni sono compromesse, quindi più basso è il numero di cittadini più alto è il numero di parlamentari pro capite. Mantenendo il rapporto costante, all’aumentare della popolazione aumenta a dismisura il numero di parlamentari senza un vero perché, come dimostrato sopra.

In conclusione, sostenere il NO con un argomento come “attentato alla democrazia e alla Costituzione” è privo di senso.

Per il resto ogni opinione è legittima purché non basata su argomenti pretestuosi.

Tik Tok … Tik Tok …

Non necessariamente le persone intelligenti e colte sanno o vogliono guardare lontano. Più spesso, come gli sciocchi e gli ignoranti, finiscono per aggirarsi, convinti, in un minimo relativo, citazione scientifica che vuol dire semplicemente puntare al dito mentre la luna sta altrove.

Gli ignoranti e gli sciocchi non sono un problema, ci sono sempre stati. Ma così tanti intelligenti e colti io non ne avevo mai visti.

Per ogni inutile commento sprezzante, per ogni dissenso su un argomento certamente importante che diventa, in mezzo alle macerie strutturali del paese, priorità immediata, essenziale e irrinunciabile per cui un governo o un partito è addirittura indegno, cresce di un punto la convinzione di chi è indeciso o di chi già voterebbe questa destra ignobile ipocrita e pericolosamente opportunista, che sia vero che il governo aumenta le tasse (mentre è vero il contrario) e che Venezia sia colpa dei no di Toninelli (mentre è vero il contrario) o che i migranti siano causa dei mali del paese mentre è vero che subiscono gli stessi problemi, spesso amplificati, dei nativi.

In tutto questo i giornalisti (più che altro opinionisti visto il poco uso che fanno dei dati) sedicenti liberali e/o di sinistra incredibilmente ignari del paese in cui hanno vissuto fino a ieri, mentre apparentemente riconoscono le macerie e le relative responsabilità, con ogni loro parola smontano quanto di strutturale (e quindi lento) è fatto, i piccoli cambiamenti, un tentativo di guardare al futuro.

Nemmeno si accorgono (forse) di esaltare le grandi capacità (tecnicamente inesistenti, nulle) dei capi della destra. Addirittura il carisma (quanto la usano questa parola nemmeno si conta). E così ne accrescono la strisciante popolarità annullandone di fatto le pesanti responsabilità proprio nei temi tanto cari all’elettorato di destra attuale o potenziale: tasse, case, lavoro, infrastrutture. Li rendono simpatici addirittura a tratti e li fanno sembrare positivamente furbi … che mai cosa piace di più all’italiano.

Si illudono tutti di comunicare chissà quale argomento sottile o profondo magari pure di sinistra ma tutto quello che esce è: aridatece er capitano.

Intanto, mentre Meloni spopola grazie al nuovo tormentone di Propaganda Live (programma che mi piace moltissimo tra l’altro) Salvini sbarca su tik tok, social per quindicenni (ma frequentato da ogni età direi) di rapida fruizione, totalmente leggero, a differenza di FB e Twitter. Lui prova a mettere, anche li, semi per il futuro: il suo. A dimostrazione, se ce ne fosse bisogno,  che al tronista della politica non glie ne frega nulla del popolo, del paese e del futuro. Solo del potere, della poltrona, dei soldi. Chissà che gli adolescenti non si dimostrino più svegli di quanto pensiamo e comunque più degli “illuminati”.

I miei complimenti agli intelligenti, ai colti, ai liberali e agli opinionisti. Non è un caso che le dittature nascano dalle democrazie, spesso proprio grazie alla cecità dell’intelligenza. Questo lo chiamo sonno della ragione.

Ci vediamo nel futuro.

https://globalist.it/life/2019/11/15/gli-adolescenti-si-ribellano-a-salvini-su-tik-tok-vattene-questo-non-e-posto-per-te-2049102.html

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/17/matteo-salvini-e-su-tik-tok-il-social-dei-ragazzini-fa-un-simil-balletto-circondato-da-cacchte-di-uccello-muccino-lasciate-in-pace-i-giovani/5567840/

Dēmokratía

In questo Paese la parola “democrazia” è usata fino all’ossessione. Nei talk show politici ma anche nei dibattiti privati o social è onnipresente. Solo che è usata spesso a sproposito e in sostituzione di altri concetti come “equità”, “tolleranza”, “educazione”, “libertà”. Ma democrazia non è sinonimo di nessuna di queste cose.

Prendendo a riferimento gli ultimi circa 25 anni si può dire che abbiamo avuto modo di ascoltare comodamente da casa numerosi interventi di costituzionalisti, scrittori esperti in materia, storici e quant’altro. Queste persone ci hanno spiegato più che bene il concetto di democrazia. E poi ormai c’è il web (quello certificato) per approfondire. Anche un non esperto dunque potrebbe ormai aver acquisito elementi sufficienti a farsi un’idea sull’argomento in questione. Chiunque oggi in Italia, con il tanto parlare che si è fatto di democrazia, potrebbe quindi esprimere un’opinione, magari non condivisibile, ma almeno fondata.

A mio avviso non esiste un alibi per l’ignoranza almeno sui fondamentali della democrazia.

Purtroppo però il dibattito (in particolare quello televisivo) è stato diretto, anzi dominato, e quindi influenzato da una classe politica che sembra non aver avuto alcun interesse a far crescere la cultura dell’elettore potenziale. Ha avuto più che altro interesse personale a buttarla in caciara, come si suol dire (a Roma), con l’unico scopo di ottenere consensi orientando il pubblico in base agli istinti.

Questo è forse l’unico alibi che il popolo italiano può darsi oggi per continuare a non capire o ignorare il concetto di democrazia e i mille aggettivi che le si possono affiancare per definirla.

Ogni volta che riparte il dibattito, quindi, si tende a guardare il dito e non la Luna.

Per esempio: in occasione di uno o più provvedimenti “liberticidi” prodotti dal parlamento Italiano (eletto) o imposti in forma di decreto dal governo Italiano (nominato) e poi confermati entro 60 giorni dal suddetto parlamento, la prima cosa che si sente dire è “non è un provvedimento democratico”. Si finisce a usare il significato esteso, colloquiale e sbagliato, di democrazia che sostituisce a seconda dei casi uno dei termini di cui sopra.

E ci si stupisce che ancora oggi il “popolo” insista a parlare di “governo non eletto dal popolo” come fosse una stranezza, una cosa non democratica insomma.

Regna la confusione.

Partendo quindi dalle definizioni generali più semplici, ne prendo tre, un’enciclopedia famosa e un dizionario di lingua Italiana e poi l’immancabile Wikipedia.

democrazìa s. f. [dal gr. δημοκρατία, comp. di δμος «popolo» e -κρατία «-crazia»]. – 1. a.Forma di governo in cui il potere risiede nel popolo, che esercita la sua sovranità attraverso istituti politici diversi […] [Treccani]
democrazia [de-mo-cra-zì-a] s.f. (pl. -zìe)
1 Forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo, il quale la esercita per mezzo di rappresentanti liberamente eletti, con libera opposizione delle minoranze e nell’ambito della legge
‖ Democrazia costituzionale, in cui il confronto politico viene regolato da una costituzione
‖ Democrazia diretta, in cui il potere viene esercitato direttamente dal popolo
‖ Democrazia parlamentare, indiretta, rappresentativa, in cui il potere del popolo viene esercitato attraverso rappresentanti riuniti in assemblee […] [Il Grande Dizionario Italiano]
La democrazia (dal greco antico: δῆμος, démos, «popolo» e κράτος, krátos, «potere») etimologicamente significa “governo del popolo”, ovvero sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dal popolo, generalmente identificato con l’insieme dei cittadini che ricorrono ad una votazione. Il concetto di democrazia non è cristallizzato in una sola versione o in un’unica concreta traduzione, ma può trovare e ha trovato la sua espressione storica in diverse espressioni e applicazioni, tutte caratterizzate per altro dalla ricerca di una modalità capace di dare al popolo la potestà effettiva di governare. […] [Wikipedia]

Primo fondamentale: la democrazia è una forma di governo in cui il potere risiede nel popolo. La volontà del popolo, direttamente o indirettamente, deve essere rispettata.

Secondo fondamentale: la democrazia NON ha una sola forma possibile. Quale sia la migliore forma o sfumatura è argomento di discussione.

Ora: si può pensare quello che si vuole della democrazia, persino che non sia la migliore forma di governo possibile, ma SE si decide di essere sostenitori della democrazia È ESSENZIALE accettare una cosa semplice: il popolo è quello che è nel momento in cui gli si chiede di esprimersi e se ne definisce la volontà. Non è necessariamente buono, o cattivo, o umano, o disumano, mentalmente aperto, mentalmente chiuso. Il popolo, la sua cultura media, la sua apertura mentale o la sua chiusura, sono frutto di un percorso, di una evoluzione continua, di una crescita e anche del rapporto con le istituzioni che lo governano.

Se vuoi fregiarti di essere un fervente sostenitore della democrazia NON puoi avere paura del popolo o pretendere che esso sia come lo vuoi tu. Puoi lavorare, a prescindere dalle elezioni e dai governi, perché cresca, perché diventi consapevole e responsabile delle sue azioni, perché sia tollerante, aperto e puoi diffondere cultura, principi di convivenza civile e mutuo soccorso. Puoi fare un sacco di cose in sostanza, ma se vuoi democrazia devi sapere che rischio corri e accettarlo. Altrimenti hai già perso, cambia forma di governo.

Se prosegui oltre si deve assumere che tu sia un democratico.

Se lo sei hai, in base ai fondamentali, anche l’obbligo di perseguire (o accettare che sia perseguito) il fine ultimo di far si che il potere sia effettivamente, in un modo o in un altro, il più possibile nelle mani del popolo. Qualunque cosa tu faccia per deviare da questo fine o girarci intorno ti toglie dall’alveo della democrazia e ti sposta altrove, in forme miste di governo. Legittime. Assolutamente. Ma non parliamo di più di democrazia.

Ne parliamo?

Allora prendiamo atto che una democrazia può essere bellissima, armonica, tollerante verso tutto e tutti ma anche piuttosto greve, chiusa, conservatrice cattiva, autolesionista,  guerrafondaia, isolazionista pure razzista (magari non tutto insieme … ) e quant’altro perché è espressione del popolo che la definisce, e allora si può proseguire a osservarne le regole.

La democrazia infatti ha delle regole che pure il popolo deve accettare altrimenti sarebbe esso stesso a uscire dall’alveo della democrazia. Paradosso.

Il set di regole di base è di solito raccolto in una Costituzione. Anche la costituzione, in un Paese democratico, dovrebbe rispettare la regola madre di fare in modo che il potere sia esercitato dal popolo nel più efficiente dei modi possibile. Le costituzioni evolute e realmente liberali lo fanno, pur non definendo una democrazia diretta pura.

La democrazia originariamente era esercitata in forma diretta (mi pare di capire leggendo studi sulla democrazia ateniese) anche se la parte di popolo a cui era concesso l’accesso all’Agorà era comunque selezionata, tipo che gli schiavi no. Questa è una forma possibile di democrazia. Sebbene vada al nocciolo della questione, il potere al popolo, non necessariamente è la migliore. E comunque non è l’unica. L’altra principale è la rappresentativa.

C’è quindi il parlamentoIl popolo elegge i suoi rappresentanti. Questa è la forma di democrazia italiana. Qualunque cosa ne dicano tante persone, a mio avviso a sproposito, la democrazia rappresentativa pura, rispetto ai fondamentali e all’obiettivo di ‘potestà effettiva’ del popolo, è a rischio di impedirla invece che conseguirla. E credo che l’Italia, la sua storia a partire dal fascismo, ne sia precisa evidenza. 

Il parlamento può essere strutturato in vari modi, monocamerale o bicamerale in linea di massima, e dovrebbe rappresentare la volontà popolare tramite associazioni partitiche che si distribuiscono i seggi (in Italia attualmente una Camera con 630 deputati e un Senato con 320 senatori) in base a una legge elettorale.

Intermezzo necessario in Italia ai tempi di Berlusconi e della Lega: in una democrazia rappresentativa parlamentare, è il parlamento e solo il parlamento che è eletto dal popolo e nulla altro. Il governo assolutamente no, men che meno è necessaria l’indicazione di un primo ministro ed è legittimo qualunque governo che abbia in parlamento una maggioranza che gli dia la fiducia. Se un governo cade, è totalmente legittimo, assolutamente democratico, in senso rappresentativo, formarne un’altro, basato su qualunque maggioranza. Anzi è proprio obbligatorio provarci, da parte del Capo dello Stato. Solo se non si raggiunge alcun accordo nella vigente composizione parlamentare si procede allo scioglimento delle camere e a nuove elezioni, che sono assolutamente l’ultima spiaggia. Un vero democratico, in una democrazia parlamentare rappresentativa (pura o meno) non si sognerebbe mai di definire “paura del giudizio popolare” il mancato ritorno alle urne a valle della caduta di un governo, qualora in un parlamento esistano solide maggioranze alternative. Solo un analfabeta istituzionale lo farebbe. A titolo poi di esempio estero, negli Stati Uniti un presidente può, dopo la verifica di mid-term, trovarsi una composizione della camera di segno del tutto opposto ed essere in minoranza e nessuno rappresentante della fazione opposta al presidente si sogna di berciare all’inciucio, al voto popolare sul presidente ecc. Perché così funziona la democrazia americana.

La legge elettorale è il classico cavallo di Troia che può abbattere la rappresentatività del parlamento e addirittura portare al collasso la stessa democrazia.

Essa è scritta dal parlamento, passa il vaglio delle commissioni, ed è promulgata dal presidente della repubblica come tutte le leggi e serve a eleggere il parlamento stesso, a definirne al composizione, l’attribuzione dei seggi e in ultima analisi è lo strumento attraverso il quale il popolo concede ai vari partiti il diritto di rappresentarne il volere.

La legge elettorale, e non altro, è quello strumento che “po’ esse piuma e po esse fero”.

Questo perché può essere tranquillamente la via democratica al fascismo. Il modo con cui le elezioni rispecchiano il volere popolare in una democrazia rappresentativa pura, infatti, è facilmente soggetto a deformazioni (introdotte, si dice in genere, per aumentare la governabilità del Paese) come le soglie di sbarramento, i premi di maggioranza, le rappresentanze federali, i collegi uninominali ecc. Quando queste distorsioni sono spinte al limite, come nel caso della rimozione delle preferenze e soprattutto dei premi di maggioranza (partitici o di coalizione), la virata anti-democratica è pazzesca. E così si avvia il loop tramite il quale la rappresentatività si restringe. La storia della Legge Acerbo, licenziata da un parlamento suicida nel 1923, è inquietante in merito considerando che fu il modo con cui il Partito Nazionale Fascista divenne IL partito.

Ogni volta che qualcuno in questo Paese usa lo spauracchio della ingovernabilità, delle cadute dei governi, per farci accettare introduzioni di premi di maggioranza, rimozione delle preferenze e cose simili, dobbiamo ricordarci che sotto sotto c’è del fascismo.

La legge elettorale, in una democrazia puramente rappresentativa, è un’arma carica di livello atomica.

Il Rosatellum, approvato nel 2017 dall’ampia coalizione guidata da PD-FI-Lega, per dire, è proprio quel genere di legge elettorale anti-democratica di cui parlo. Esattamente come la Acerbo, rischia di dare gli ormai famosi pieni poteri a una minoranza e per giunta senza preferenze, rendendo il parlamento non più rappresentativo. Non lo fa in modo diretto, dichiarato incostituzionale dalla Consulta ad ogni tentativo sulle precedenti leggi, ma indiretto. Ci si sono messi di punta.

Questo però può accadere SOLO se la Carta Costituzionale non mette al sicuro il popolo. Se non prevede strumenti di democrazia diretta.

Fra gli strumenti di democrazia diretta i più noti, presenti in alcune costituzioni liberali, sono il referendum propositivo e le leggi di iniziativa popolare con obbligo di implementazione da parte del parlamento.

Sono strumenti questi che consentono al popolo, sotto determinate condizioni di coadiuvare l’azione di governo su argomenti non trattati dai programmi, di impedire ai governi e al parlamento stesso di ignorare istanze essenziali per il popolo o di operare contro l’interesse del popolo a favore per esempio di una lobby (vedi per dire l’acqua pubblica). Sono essenzialmente dei correttivi della democrazia rappresentativa.

In Italia questi correttivi non esistono. Il referendum è solo abrogativo, ha un quorum che raddoppia fittiziamente la possibilità di vittoria dei “no” e per giunta non esiste vincolo di implementazione da parte del parlamento e quindi è solo consultivo. Idem per le leggi di iniziativa popolare che possono giacere in parlamento per sempre, come è accaduto.

Poi c’è l’istituto della revoca popolare sostanzialmente legata al concetto di vincolo di mandato o mandato imperativo. Anche su questo c’è una certa confusione. Almeno per me.

In generale tutti questi istituti rispondono all’esigenza di non permettere al parlamentare di fare promesse (anche solo tramite l’adesione a uno specifico partito) prendere i voti per questo, sedere in parlamento e poi fare come gli pare. Il che detto così suona ragionevole ovviamente. Il punto è che il mandato imperativo in realtà ha poco a che fare con il rapporto elettore/eletto, più che altro impedirebbe a un parlamentare eletto con un partito di cambiare “casacca” come si suol dire. In sostanza un eletto con un partito con cui si trovi in dissenso e per questo sia espulso da quel partito dovrebbe dimettersi o può vedersi revocato il mandato. Questa forma è considerata un pericolo di deriva fascista e si capisce bene il perché: se una democrazia rappresentativa deriva, come è possibile verso il fascismo, e gli aggiungi che il dissenso interno è impedito tramite la rimozione del mandato, il danno è completo. Il vincolo di mandato penso che sia un sinonimo di mandato imperativo. Invece la revoca popolare non passa per nessun automatismo da quanto si legge in testi costituzionali. La revoca del mandato invece deve superare una votazione popolare quindi di per se non sembra uno strumento prono alla deriva fascista, piuttosto uno strumento che obbliga i parlamentari a una certa serietà e coerenza e che spingerebbe semmai il parlamentare in questione ad argomentare adeguatamente le ragioni delle sue azioni. Il che sembra molto utile a tutti.

Nessuno di questi istituti è presente in Costituzione Italiana e in particolare il mandato imperativo è vietato dall’articolo 67 ed è assente in larghissima parte delle democrazie. È presente invece a livello locale o negli stati di alcune federazioni in alcuni paesi come gli Stati Uniti e la Svizzera.

Conclusioni

La volontà del popolo non si verifica tramite sondaggi ma attraverso gli strumenti i tempi e le regole della democrazia del paese in cui si vive.

La democrazia rappresentativa non garantisce bellezza e giustizia perché è e resta rappresentanza di un popolo con le sue bellezze e nefandezze e questo è sotto gli occhi di tutti. Lo strumento della delega permanente peraltro deresponsabilizza il popolo e non lo aiuta a crescere e a comprendere le istituzioni e quindi non garantisce qualità. Può avere come conseguenza, e in italia l’ha avuta, di progressivamente ridurre la qualità del popolo e quindi di conseguenza delle sue stesse rappresentanze in un loop infinito a decrescere. Questo non vuol dire che sia sbagliata, affatto, ma è molto molto limitata come forma di democrazia tenuta allo stato puro. Il rinnovo ogni 5 anni non garantisce né la qualità degli eletti, né il fatto che sia punito chi non ha lavorato bene, anzi di solito il popolo finisce per non capire quello che è stato fatto e chi ha governato perde punto e basta.

Vorrei che i detrattori degli strumenti di democrazia diretta fossero quindi consapevoli che

  1. la democrazia nasce diretta e deve puntare a dare il più possibile il potere al popolo;
  2. una democrazia rappresentativa senza strumenti di diretta, è pericolosa ed è la forma più prona alla deriva autoritaria, alla degenerazione della qualità della politica che non deve mai dimostrare nulla, tanto dopo 5 anni nessuno si ricorda più perché era imbufalito e contro chi e, alla fine, le nuove promesse imbambolano;
  3. gli strumenti di democrazia diretta NON sono le votazioni del grande fratello, non sono sciocchezze buttate li ma strumenti costituzionali che prevedono capacità e consapevolezza da parte di chi li usa (nel bene o nel male);
  4. la delega permanente instupidisce il popolo e poi non ci si può lamentare se dopo decenni di politica decadente ancora oggi un Paese rischia di non saper esprimere una rappresentanza decente

Ovviamente nemmeno gli strumenti di democrazia diretta che stemperano la democrazia rappresentativa mettono a riparo da errori e leggerezze da parte del popolo, ma questo è almeno parte dell’equilibrato gioco della democrazia.

La costituzione italiana deve essere migliorata, come lo sono state tutte le altre dei nostri pari, in senso liberale e devono essere introdotti elementi di democrazia diretta.

Altrimenti non cresceremo mai, saremo sempre una democrazia di basso livello.

Parlamenti e parlamentari

L’Italia è una democrazia parlamentare bicamerale, con una Camera dei Deputati (630 seggi) e un Senato (320 seggi) per un totale di 950 seggi.

Numeri

I grafici sono fatti da me (con foglio di lavoro Google)  in base ai dati ufficiali di 22 nazioni del mondo (larga parte europee) che a vario titolo possono essere nel bene o nel male un riferimento. I valori numerici sono riportati in Figura 4.

Dalla Figura 1 si vede che l’Italia è il terzo paese per numero assoluto di parlamentari dopo Cina e Inghilterra. Fra i numeri più bassi ci sono le democrazie del nord-europa.

Ma non è il numero assoluto di parlamentari che conta più di tutto. Quello è solo un indice di dove ci troviamo rispetto a tanti pesi più o meno liberarli o autoritari.

Il parametro che interessa di più è il numero di parlamentari per cittadino (pro capite) o, che esprime lo stesso concetto, il numero di abitanti per parlamentare. Figura 2 riporta, sempre ordinato per valore crescente, il numero di abitanti per ogni parlamentare, indicazione di quanti abitanti ogni parlamentare è in media chiamato a rappresentare. In india, che ha meno parlamentari dell’Italia, uno di essi è chiamato a rappresentarne oltre 1,5 milioni (!) mentre la Svezia poco meno di 30 mila. Figura 3 invece riporta l’indice pro-capite che per scelta ho normalizzato rispetto al valore più alto ordinando poi le nazioni per questo indice crescente. Per semplificare, qui la Svezia, per le stesse ragioni di Figura 2 (tanti parlamentari rispetto alla popolazione) ha il più alto numero di parlamentari pro capite mentre l’India (che di parlamentari ne ha in assoluto meno dell’Italia ma ha una popolazione di oltre 1mld di abitanti) ha l’indice più basso. Queste due figure dicono la stessa cosa e vedono l’Italia più o meno nel mezzo fra Belgio e Francia.

Deduzioni

Confrontando questi grafici e i numeri assoluti di parlamentari e popolazione e anche la qualità dello stato di riferimento (servizi sociali, tasse, libertà ecc) si deducono alcune cose semplici:

  • l’Italia non è una democrazia funzionale, equa fiscalmente e socialmente, nonostante lo stato sociale e tante altre belle cose; non ha espresso fin qui una classe politica efficiente e di qualità e men che meno si è difesa da derive autoritarie se non in extremis; eppure ha il più alto numero di parlamentari e un numero procapite medio (o numero di abitanti per parlamentare, che è lo stesso), né basso né alto;
  • a fronte del punto 1 l’Italia ha un numero di parlamentari pro-capite più vicino a quello di paesi piccoli, con una popolazione limitata dove il numero di parlamentari non può, per funzionalità dello stato, scendere troppo … nazioni molto funzionali in genere;
  • se si osservano le nazioni in che hanno più alto e più basso numero di parlamentari pro-capite si nota che non sembra esserci alcun legame con le libertà personali, il livello di democrazia e l’efficienza dello stato;

Se ne deduce che il numero di parlamentari non è sintomo di democrazia e men che meno di libertà ed efficienza.

Entro certi limiti minimi si può ridurre il numero di parlamentari senza incidere sulla democrazia in nessun modo.

Quello che fa la differenza è solo la legge elettorale insieme alla qualità dei politici eletti.

Schermata 2019-08-28 alle 10.51.45

Figura 1: Numero totale assoluto di parlamentari per nazione ordinati in numero crescente.

Schermata 2019-08-28 alle 11.28.26

Figura 2: Nazioni ordinare per numero crescente di abitanti che ogni parlamentare è chiamato a rappresentare. Più è alto il numero minore è il numero di parlamentari rispetto alla popolazione.

Schermata 2019-08-28 alle 10.44.55

Figura 3: Nazioni ordinate per densità relativa crescente di parlamentari per abitante; in sostanza il numero di parlamentari per abitante prendendo a riferimento il valore della nazione che ha il più alto numero di parlamentari per abitante e mettendolo uguale a 1. Il valore assoluto non ha significato, solo l’ordine e le altezze delle colonne le une rispetto alle altre.

Schermata 2019-08-28 alle 11.43.23

Figura 4: Dati su cui sono basati i grafici, qui ordinati in base ai valori crescenti della colonna in violetto.

 

Non può essere più una questione di geometria

La sinistra politica continua a non capire nulla né del passato né del presente. Non solo D’Alema

Del futuro non si occupa più da almeno un ventennio, forse di più.

Nel 1999 e poi nel 2001, fino alla fine dei Forum Sociali da Porto Alegre a Genova passando per Davos e Firenze per citare solo gli appuntamenti che ricordo e/o quelli a cui ero presente, il movimento no-global ha capito tutto. Nel dettaglio. Il movimento aveva capito tutto di Ambiente, Futuro, Tecnologie, Economia, Sostenibilità. Non per nulla il motto era “Un altro mondo è possibile”. Quello che ci stavano apparecchiando era una schifezza, discriminatoria, classista, precarizzante, basata sulla guerra e su una forbice enorme fra ricchi e poveri e lo sfruttamento dell’ambiente oltre il limite. Grandi capitali concentrati, finanza senza etica, la pretesa che il costo dei prodotti dovesse scendere grazie allo sfruttamento di una forza lavoro gestita usa e getta per il solo fine di produrre capitale.

Quando la società civile ha reagito, il regime transnazionale lo ha fatto in modo più forte sfruttando i governi compiacenti e prezzolati. Non è stata la morte di Carlo Giuliani a esserne la cifra ma la Diaz. Bolzaneto.

La sinistra in Italia a quel tempo era già post PCI e i democratici erano quelli che pochi mesi prima a Piazza del Plebiscito avevano avviato la stagione della repressione passando un testimone, una pistola carica, a Berlusconi e alla sua destra. Certo a Genova c’era Rifondazione Comunista. E i comunisti Italiani? “Il governo di centrosinistra aveva creato i GOM (i corpi speciali della polizia penitenziaria), protagonisti di sevizie e abusi di potere nei giorni del G8 genovese. Il ministro della giustizia era Oliviero Diliberto.

La sinistra a Genova è arrivata già divisa. Sparpagliata sparita. Una sinistra, quella degli attuali PD, non ha solo abbandonato ogni istanza giusta sociale di rinnovamento in un momento chiave per il mondo e per il Paese, ma ha posto le basi per la sua distruzione. Ha scelto il neoliberismo, la finanza, l’iniquità sociale. Ha organizzato il G8 di Genova e la pistola puntata sul movimento. Non a caso non si è mai opposta a Berlusconi e al Berlusconismo e successivamente lo ha sposato, parzialmente assorbito. Schiava della più assistenzialista (per i cazzi suoi) e piagnona Confindustria del mondo.

L’altra sinistra ha fatto l’unica cosa che chi non ha una visione che vada al di la di interessi di partito e ideologie immutabili nonostante sia mutata la società, sa fare: scindersi e scindersi in una infinita meiosi che ha ridotto e sempre più ridotto ogni residuo cromosoma. La colpevolezza grave di quel comportamento è legata al fatto che di fronte a un disastro annunciato di proporzioni globali, nonostante l’esistenza di un movimento imponente e scientificamente solido che stava facendo tutto da solo, non sono stati capaci di trovare gli elementi comuni, a prescindere dalle geometrie parlamentari, per mettere da parte le piccole differenze per fare fronte comune e dare supporto alla società civile. La società ha chiamato e nessuno ha risposto se non i manganelli e il silenzio. Inutile la formale presenza e il vago supporto politico dato da Rifondazione ai manifestanti.

Dopo il PCI, Rifondazione Comunista; ma poi la meiosi ha portato Comunisti Italiani e poi si è aggiunta SEL come sommatoria dei Comunisti coi Verdi. Geometrie, ma nessuno ha raccolto la chiamata per un altro mondo possibile. E oggi è tardi. Ci hanno abbandonati, intenti a litigare come forsennati per interessi di partito e frattaglie di voti.

La politica è mediazione dicono in tanti, e questa gente non ha saputo mediare manco con se stessa.

Io sono rimasto lo stesso, sebbene mi sia evoluto, studiando, crescendo, consolidando o modificando, se il caso, opinioni. Ma essenzialmente le grandi linee del mio personale, diciamo così, programma politico sono sempre le stesse che condividevo con mezzo mondo allora e che pensavo di condividere con la sinistra italiana. La sinistra nel frattempo invece mi si è spostata inesorabilmente sotto, verso destra o verso il nulla.

Mi si dice che i nuovi movimenti, namely il Movimento 5 Stelle, non ha una identità. Ma prima di chiedere una identità agli altri è bene che ce la diamo noi.

Dunque è tempo di capire che cosa vuol dire sinistra.

Le parole “sinistra” e “destra” sanno di geometria spaziale, parlamentare. Forse un tempo rappresentavano un set di idee ben consolidate, pure forse un po’ semplici e quindi potenti.

Idee che venivano da lontano e che non si erano mai confrontate con il cambiamento, né quello naturale della società né quello indotto per esempio dal liberismo imperante.

Ma oggi questi termini non hanno più senso alcuno. Questo credo che sia il centro della frase “né di destra né di sinistra” tanto cara ai 5stelle. E lungi da essere qualunquismo, è del tutto vera. Non vuol dire che tutti sono uguali ed è tutto un magna magna. Solo, quel set di idee non c’è più e i sostenitori di quelle ideologie non hanno fatto nulla né per tenerle in vita così come erano, né per ammodernarle. Chi lo ha fatto ha sposato il nemico.

Dunque penso che sia più sensato definire se stessi, al fine di trovare i propri simili e riprendere l’eredità di uno dei più importanti movimenti globali, in base a definizioni di massima che semplificano l’associazione e minimizzano i residui, da bravo tomografo.

Cosa sono io? Non una geometria decrepita per favore.

Credo che la forma di governo a cui non posso rinunciare sia una democrazia liberale? Si ok, sono un liberale.

Penso che si debba sempre lottare per mantenere, conservare, temendo il cambiamento, volendomi circondare di miei simili e chiudendo le porte ai fenomeni nuovi? No. Ok allora sono un progressista.

Credo che l’economia debba essere liberista e privilegiare capitali e merci o che sia possibile cambiare modello economico senza traumatizzare il mondo ma puntando su una economia equa e solidale, potenziare il microcredito piuttosto che la finanza e i suoi eccessi, avere un welfare? Ok allora ci siamo.

Si possono aggiungere poi dettagli personali come le opinioni sui confini nazionali se abbiano mai avuto un senso o no ma per il momento i problemi sono di ordine superiore e … una cosa alla volta, mettendo da parte querelle millenarie.

Già questo basta per trovare dei simili che non stiano li a cavillare sulle sottigliezze che a quelle ci si pensa dopo aver vinto la battaglia principale di un mondo basato su diritti inalienabili ed economia solidale.

Ci possono essere momenti difficili, controversi, limiti da non superare mai che ci si devono dare per carità, ma su argomenti così macro non è poi difficile.

Manca solo una cosa. Quello che i partiti in Italia non fanno mai perché non glie ne frega una mazza: un programma per il Paese a 20 anni basato su questi principi comuni, in settori chiave. Ricerca, Sviluppo industriale, Energia, Ambiente, Diritti Umani. Da questi macro argomenti deriva anche il lavoro.

A me non pareva ci volesse poi così tanto.

Par Condicio? Grazie.

Nei giorni scorsi si è parlato molto di “Par Condicio”, solo che tutti ne parlano a sproposito, giornalisti e politici … e quindi anche gli italiani.

Al momento, il sentire comune sulla par condicio è che sia una legge stupida che imbavaglia. Quasi quasi una legge illiberale. Lo sottintende anche Santoro, ogni tanto e, sempre più spesso, Floris.

Eppure è falso. Vediamo perché.

Per  par condiciorecita Wikipediasi intendono quei criteri adottati dalle emittenti televisive nel garantire un’appropriata visibilità a tutti i partiti e/o movimenti politici.

Alla base di questa affermazione c’è la legge sulla Par Condicio, di cui riporto qui sotto l’Art. 2 che riguarda la comunicazione radiotelevisiva.

Art. 2. (Comunicazione politica radiotelevisiva)
  1. Le emittenti radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l’accesso all’informazione e alla comunicazione politica.
  2. S’intende per comunicazione politica radiotelevisiva ai fini della presente legge la diffusione sui mezzi radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche. Alla comunicazione politica si applicano le disposizioni dei commi successivi. Esse non si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione.
  3. È assicurata parità di condizioni nell’esposizione di opinioni e posizioni politiche nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in contraddittorio di programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione nella quale assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politiche.

ecc …

Questo garantirebbe, se la si rispettasse, che non solo i maggiori partiti, che la visibilità ce l’hanno già, ma tutti i partiti, piccoli o grandi che siano, abbiano la possibilità di fare conoscere i loro programmi (lo so, è una parola che ormai non si usa più … “programmi questi sconosciuti”). Garanzia che le persone possano esercitare davvero la democrazia … perché la base di una buona democrazia è una buona informazione … non la scheda elettorale.

Invece in quasi tutti i luoghi dell’informazione si dimostra fastidio per la par-condicio quasi fosse una limitazione piuttosto che un aumento della libertà e della democrazia, sostenendo, senza rendersene conto, l’orrida idea berlusconiana che il diritto a comparire sia solo dei più grandi partiti …

Ma qualcuno ha mai pensato che all’estremo limite delle cose, una idea come questa porta al possesso dell’informazione da parte di un unico partito?

Qualcuno ha mai pensato che l’idea che ci piace, il programma che ci entusiasma, potrebbe nascondersi dietro o essere la bandiera di un piccolo partito?

Qualcuno si sofferma mai a pensare che un partito non diventerà mai grande se non ha modo di farsi sentire?

Si qualcuno l’ha pensato e ha risposto …. NON SIA MAI!

Quel qualcuno sono i geronti della politica e gli idioti di questo malsano paese.

Le conseguenze di questo “modo di pensare” diffuso dai più, è stata la violazione palese dei diritti di due liste in particolare: La Rete dei Cittadini (che aveva un candidato concorrente di Bonino e Polverini) e le Liste a 5 Stelle.

Nel paese catodico di Berlusconi, in cui l’ADSL è in dietro di anni luce, la rete ha fatto il possibile per sopperire ma non è ancora forte abbastanza.

Le cose cambieranno, ma intanto viviamo un paese che fa carta straccia di ogni regola e in cui la gente, una certa maggioranza di gente, continua a premiare politici ILLEGALI che fanno della violazione delle regole la loro ragione di vita, e della democrazia un fantoccio.

E le conseguenze si vedono.